All'inizio del 2002, stimolata dalla proiezione nelle sale cinematografiche del "Signore degli anelli", tramite ricerche personali sono risalita alle origini dei Quendi, o Elfi, "coloro che parlano" (cfr. radice quet-, poi pet- e beth- nel più tardo Sindarin), secondo la definizione dell'antico linguaggio, denominato appunto Quenya.
Anche se, a dire il vero, mi sono soffermata su di un episodio in particolare: la storia di un'elfina illustre, Lúthien Tinúviel, che ripropongo in una sintesi sommaria, nella quale, inevitabilmente, qualche dettaglio mi sarà sfuggito o sarà stato trascurato.
Lúthien (la radice Luth- viene assimilata nella traduzione inglese a "enchant") è una principessa degli Elfi che per prima, tra quelli della sua razza, ha rinunciato all'immortalità allo scopo di seguire il suo amato Beren, come narra Tolkien nel cap.19 del "Silmarillion", nell'ordine ideale il primo libro della trilogia, a cui fanno seguito "Lo Hobbit" (gli Hobbit sono una razza di uomini gioviali, longevi e di bassa statura, ma diversi dai Nani anche se l'altezza è circa la medesima) e "Il Signore degli anelli".
Il Silmarillion prende il nome dai silmaril, gemme della luce nate in seguito alla distruzione dei due alberi di Valinor: che siano paragonabili agli Alberi della Vita e della Conoscenza? O più semplicemente simboleggiavano la Luna e il Sole non ancora comparsi. Certo è che questo libro ha una sua importanza ben al di là del fantasy, trattandosi di una raccolta dallo stile elevato di racconti mitologici, 5 per la precisione, quindi una sorta di pentateuco.
Torniamo però a Luthien: era la figlia del re di Doriath, l'elfo Thingol, e di uno dei Valar minori, la Maia di nome Melian; la sua nascita risale alla "prima era" (Ages of Starlight).
Il soprannome Tinúviel le fu dato dal suo amante mortale quando la vide per la prima volta nel bosco mentre danzava solitaria, illuminata dalle stelle, poiché non era una principessa così legata all'etichetta da rimanersene buona ed obbediente nella sua dimora sugli alberi; e il significato nel linguaggio arcaico degli elfi è "usignolo", sebbene il termine inglese "nightingale" si avvicini di più alla definizione reale di "creatura del crepuscolo". Ma chi era l'innamorato dell'eterea principessa? Il figlio di Barahir - un signore ucciso a tradimento - era un giovane uomo, costretto per molto tempo a combattere contro orchetti e altri tipi poco raccomandabili, vivendo come un fuorilegge quasi sempre nell'oscurità, come se la luce potesse ferirlo agli occhi; nei suoi canti parla poco del passato, connotato da troppi momenti di terrore.
Infatti, la storia vera e propria dei due innamorati inizia quando Beren riesce a superare gli incantesimi di Melian e a varcare il cerchio di protezione steso intorno al Doriath, incontrando così Luthien, l'unigenita figlia dei sovrani. Per ottenere la mano della giovane elfetta intraprese la sua più grande avventura: recuperare un Silmaril dalla corona di Morgoth, il malvagio del tempo. Riuscì nell'intento grazie anche alla sua amata che danzò davanti al nemico nell'isola di Sauron - dove Beren era trattenuto prigioniero - e sottrasse l'oggetto luminoso, scomparendo subito dopo; durante la fuga, però, la mano di Beren venne divorata da Carcharoth, il lupo di Angband.
Per questo si diede il nome di "Camlost", mano vuota; in seguito, con Thingol, Mablung dalla Mano Pesante, Beleg Arcoforte e il fedele cagnone Huan, partecipò alla caccia di Carcharoth, che impazzito per il dolore causatogli dal Silmaril, ingoiato insieme alla mano, seminava terrore e desolazione.
Ma la belva nella sua follia uccise Beren, venendo a sua volta azzannata a morte da Huan. Il corpo senza vita del nostro eroe fu portato da Luthien nel bosco di Neldoreth, assieme alla carcassa di Carcharoth, al cui interno fu trovata la mano monca che stringeva il Silmaril. Dal tocco dell'amuleto Beren, unico tra gli uomini mortali, tornò in vita e visse con Luthien regnando su Tol Galen nell'Ossiriand. Questa regione fu detta "terra dei morti viventi" perché abitata solo da Beren, l'uomo che morì due volte, e da Luthien, la fanciulla elfica che morì infine con il suo amato per seguirne la sorte.
Prima ebbero tuttavia il tempo di godersi una vita felice e condividere la gioia di un figlio, Dior, che avrebbe proseguito la stirpe. La stessa alla quale apparterranno Galadriel, la maga dello specchio d'acqua, ed Elrond, altro re elfico (anzi, mezzelfo) e padre di Arwen, altra soave creatura che, seguendo il destino dell'antenata, si innamorerà del mortale "Re degli Uomini", Aragorn, uno dei nove componenti della Compagnia dell'anello (gli altri sono i quattro hobbit - Frodo, Bilbo, Merry, Pippin - il mago Gandalf, l'elfo chiaro Legolas, il nano Gimli e il guerriero Boromir); non aggiungo il seguito, altrimenti si commette il peccato di ridurre la storia articolata del Signore degli Anelli a uno sterile riassunto. Chi non conosce la trama può sempre leggere il libro o accontentarsi del film.
Nondimeno, riporterò un brano del libro appena citato, per la precisione quanto narra lo stesso Aragorn dei due mitici amanti e il canto per allietare la compagnia.
"Vi racconterò la storia di Tinuviel", disse Aragorn, "in breve, poiché è molto lunga e non se ne conosce la fine. Nessuno, al giorno d'oggi, la ricorda tale quale veniva narrata anticamente. Parla dell'incontro di Beren, figlio di Barahir, e di Luthien Tinuviel. Beren era un mortale, ma Tinuviel era la figlia di Thingol, Re degli Elfi nella Terra di Mezzo allorché il mondo era giovane; la più dolce e soave fanciulla che sia mai esistita. La sua bellezza era pari al rifulgere delle stelle oltre le nebbie delle Terre Nordiche, che parevano rispecchiarsi nel suo viso luminoso. In quei giorni il Grande Nemico viveva nel Nord, ad Angband, e gli Elfi dell'Ovest, con l'appoggio di alcuni fra gli Uomini, gli dichiararono guerra. Ma il Nemico fu vittorioso, e Barahir ucciso, e Beren dovette fuggire tra immensi pericoli, scavalcando le Montagne Nebbiose e giungendo nel Regno di Thingol, nascosto nella Foresta di Neldoreth. Lì fu incantato dalla vista di Luthien che cantava e danzava in una radura vicino al magico fiume Esgalduin, e la chiamò Tinuviel, che vuol dire Usignolo nella lingua arcaica.
Molti dispiaceri ed eventi nefasti li separarono in seguito, anche se non vengono narrati da questa canzone. Alla fine Beren morì e spirò tra le braccia amorose di Tinuviel; ma ella scelse la mortalità per poterlo seguire. Si canta che si incontrarono nuovamente al di là dei Mari che separano i mondi, e che camminarono ancora qualche tempo vivi tra i verdi boschi e che poi assieme oltrepassarono, tanti e tanti anni fa, i confini del nostro mondo."
Beren e Tinuviel
Lunghe eran le foglie e l'erba fresca
Le cicute ondeggiavano fiorite e belle
Una luce brillava nella foresta
Era tra le ombre un luccicar di stelle
Tinuviel ballava nella radura
Di un flauto nascosto alla musica pura
Lì giunse Beren dal monte nebbioso
Tra le fronde e gli alberi disperso
Dove l'elfico fiume scorre tumultuoso
Camminò solitario ed in pensieri immerso
E vide con gran meraviglia
Dalie dorate ricoprirle il manto
Sulla lunga veste luce di stelle
E fluenti cascate sulle sue spalle
Tinuviel tra i boschi elfici fuggiva con piedi alati
Lasciandolo senza amici tra le foreste e i prati
La vide così bella
Al lume di luna, al raggio di stella
Passato l'inverno ella tornò a danzare
E col suo canto giunse la primavera
Inseguita di nuovo ella fuggì via
Ma l'elfico suo nome era poesia
E allora si fermò ad ascoltarlo
Come incantata dalla voce di Beren
Che svelto la raggiunse per magia
E la vide tra le braccia brillare
Tinuviel tra i boschi elfici fuggiva con piedi alati
Lasciandolo senza amici tra le foreste e i prati
La vide così bella
Al lume di luna, al raggio di stella
Tutto indica che si tratta di figure mitologiche anteriori al I o II secolo
della nostra era, allorché Tacito parla di femmine venerate e chiamate Albruna (Tacito,
La Germania VIII, ed. J. Perset, Parigi, 1967). Vocabolo, questo, composto sul determinato
alb/elb e rùn, vecchia parola di origine germanica che designa i segreti magici.
In Germania "Elfo" (alp. elbe) è assai raro nei testi anteriori al XIII secolo e,
a partire da quest'epoca, tale parola viene utilizzata come sinonimo di "nano" (zwerc).
Oltre manica invece (aelf, elf, pl. Ylfe) è usata a partire dall'XI secolo. Nei Paesi
scandinavi (alfr pl. Alfar) è sempre sinonimo di nano (dvergr).
Jacob Grimm e Ferdinand
Saussure, esaminando le forme alf, aelf, alb/alp, elbe, arrivano alla conclusione
intuitiva che il termine appartiene al latino albus (bianco) da cui anche alpes - le
montagne ricoperte di neve - e elbe, nome che invece designa le acque chiare e limpide.
Wadstein ricorda il termine indoeuropeo albh, "brillante, essere bianco". In effetti
l'elfo è una creatura luminosa, eterea, evanescente, un essere dal carattere benefico.
Per l'Inghilterra R. Jente ha composto una lista di trentacinque nomi derivanti da
aelfbeorht "elfo scintillante" e aelfwine "amico degli elfi". In Germania noi constatiamo
il medesimo fenomeno ma i nomi sono ancora più numerosi e più antichi, alpho è attestato
in documenti del settecento circa.
Verso l'anno mille è attestato un vocabolo aelfsiden,
letteralmente "magia dell'elfo", che potremmo anche tradurre come "stregoneria, incantamento".
Ora, in un vecchio carme tedesco una formula di scongiuro per evitare malattie ai
cavalli è la seguente: ALBO + ALBUO + ALUBO +
Così c'è un pentacolo chiamato "Piede
dell'Elfo" e infine una piccola croce - da tre a quattordici cm. di altezza - che è
stata ritrovata negli scavi. Una di queste scoperte porta la seguente iscrizione: "Contra
Elphos hec in plumbo scrive" (contro gli elfi scrivi questo sul piombo), quindi un
amuleto destinato a proteggersi dagli incantamenti degli elfi.
Il nome germanico
della mandragola è alraun, attestato nel X secolo sotto la forma Albruna. Tutte le
operazioni magiche con questo vegetale si compiono di venerdì, in tedesco Freitag,
vale a dire il giorno di Freyja, signora degli Elfi germanici!
Jòl, il natale pagano, è designato
da un sinonimo, il composto Albablòt, il "sacrificio degli elfi". Questa festa complessa,
celebrata al solstizio d'Inverno, associa la commemorazione dei morti a dei riti
di fertilità: in questa occasione si compie un grande sacrificio per un anno fecondo
e per la pace. C'è un servitore di questo dio, Byggvir, personificazione dell'orgia.
L'Albablòt è una realtà - da una fantasia mitologica - e lo scaldo (menestrello, uomo dotto e d'arme presso le corti scandinave medievali) Sighvat Thordarson
racconta come, durante un viaggio in Svezia attorno al 1018, dei paesani gli riferirono
che avrebbero dovuto compiere un sacrificio agli spiriti di natura. Il vocabolo elfo
è dunque divenuto col trascorrere del tempo un nome collettivo, un termine generico
che ingloba tutti gli spiriti naturali.
Nella mitologia tolkieniana si dice che gli elfi o priminati (simili in statura agli uomini) furono la prima razza ad essere creata, la più saggia e leale, i cui individui non muoiono di malattia ma soltanto per forti dispiaceri o uccisi. Invecchiando, diventano sempre più gradevoli e sapienti, se muoiono, sopravvivono nelle aule di Mandos, in Valinor, l'elisio elfico dove si ritireranno infine tutti gli elfi superstiti lasciando la Terra di Mezzo (Endor) alla fine della terza era; i nani, con prerogative simili alla razza elfica, quali il coraggio e la forza ma infuse in diverso aspetto, finiscono in altre "aule".
Gli uomini, più deboli e soggetti
alle passioni negative, hanno però ricevuto da Eru Ilùvatar (l'Uno creatore) un dono
particolare che gli immortali arriveranno ad invidiare loro: la morte.
L'itinerario attraverso Endor, alias la Terra di Mezzo, è ispirato all'opera narrativa del filologo inglese John Ronald Reuel Tolkien, e costellato da 64 illustrazioni (in particolare di Alan Lee, fratelli Hildebrandt, John Howe, Ted Nasmith).
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Luthien e Beren introducono alla galleria con la guida del silmaril...
Rosso è il fuoco nel camino,
Sotto al tetto un letto aspetta,
Ma non son stanchi i nostri piedi,
Voltato l'angolo incontrar potremmo
D'improvviso un albero
Oppure un grosso sasso,
Che nessuno oltre noi ha visto.
Alberi e fiori, foglie e fuscelli,
Fateli passare! Fateli passare!
Sotto al nostro cielo colli e ruscelli
Passeranno oltre! Passeranno oltre! -
Voltato l'angolo forse ci aspetta
Un ignoto portale o una strada stretta...
[Canzone di gente in cammino, Tolkien]
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